Notes
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[1]
Si veda, fra i numerosi studi sul tema, N. Himmelmann, Studien zum Ilissos – Relief, Monaco, 1957; H. A. Shapiro, The Iconography of Mourning in Athenian Art, AJA, 95, 1991, p. 629-656; E. G. Pemberton, The Dexiosis on Attic Gravestones, Mediterranean archaeology, 2, 1989, p. 145-150; C. W. Clairmont, Classical Attic Tombstones, Kilchberg, 9 vol., 1993-1995, in part. Introductory Volume, con ampia bibliografia. Da ultimo si veda, in particolare per la forte attenzione al contesto e alla funzione delle stele funerarie, J. Bergemann, Demos und Thanathos, Monaco, 1997 ; N. Himmelmann, Attische Grabreliefs, Opladen, 1999.
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[2]
M. L. Catoni, Schema e valori, vita e immagini, in M. S. Celentano, P. Chiron, M. P. Noël, SKHEMA/FIGURA, Formes et figures chez les anciens, Paris, 2004, p. 89-112; Ead., Schemata. La comunicazione non verbale nella Grecia antica, in corso di stampa.
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[3]
Aristotele, Politica, 1340, a 18-40.
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[4]
La traduzione di homoíoma col termine italiano « rappresentazione » è approssimativa. Il termine greco infatti contiene un tratto che pertiene al grado di vicinanza al vero della rappresentazione e la designa come caratterizzata da un grado altissimo di vicininanza e somiglianza (quasi uguaglianza) con l’originale.
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[5]
La possibilità di pittura e scultura di dar figura a valori astratti trova una delle sue più belle discussioni nel racconto di Senofonte (Senofonte, Memorabilia, III. 10. 5 sq.), nel quale Socrate, a colloquio col pittore Parrasio, lo scultore Kleiton e il fabbricante di corrazze Pistias, convince Parrasio e Kleiton, all’inizio scettici, che pittura e scultura sono in grado di rappresentare pathe ed ethe. A. Delatte, Le troisième livre des souvenirs socratiques de Xénophon, Paris, 1933; O. Gigon, Kommentar zur Xenophons Memorabilien, Basel, I, 1953 e II, 1956; R. Nickel, Xenophon, Darmstadt, 1979, p. 92-100. Specificamente dedicati a questo passo F. Preisshofen, Socrate in conversazione con Parrasio e Clitone, in E. La Rocca, L’esperimento della perfezione, Milano, 1988, p. 180-195. Lo studioso fornisce un utilissimo commento ai due colloqui con Parrasio e Kleiton e al suo saggio rimando per la bibliografia principale; si veda anche A. Brancacci, Ethos e pathos nella teoria delle arti, Una poetica socratica della pittura e della scultura, in Elenchos, XVI, 1995, p. 103-127. Si può vedere anche la breve menzione del passo in H. Wilms, Techne und Paideia bei Xenophon und Isokrates, Stuttgart, 1995, p. 28-29.
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[6]
Platone, Repubblica, 401 a - 402 c.
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[7]
Su questi temi si può vedere M. L. Catoni, Quale arte per il tempo di Platone ?, in S. Settis (a cura di), I Greci, Storia, cultura, arte, società, II,1, Torino, 1997, p. 1013-1060.
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[8]
Menziono, fra tutti, lo studio di P. Zanker, La maschera di Socrate, Torino, 1995.
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[9]
L’intero gruppo è stato eccellentemente analizzato da U. Vedder, Frauentod, Kriegertod im Spiegel der attischen Grabkunst des 4 Jhs. V. Chr., AM, 103, 1988, p. 161-191, che rappresenta lo studio di riferimento per questo lavoro. Per i dati e la consistenza numerica si veda Clairmont, op. cit., General Index, s.v. « Childbed Scenes ». Si veda anche A. Stewart, C. Gray, Confronting the Other : Childbirth, Aging, and Death on an Attic Tombstone at Harvard, in B. Cohen (a cura di), Not the Classical Ideal : Athens and the Construction of the Other in Greek Art, Leiden-Boston-Köln, 2000, p. 248-274. Sull’equivalenza fra la morte in battaglia per l’uomo e la morte di parto per la donna, sostenuta da Vedder, op. cit., e N. Loraux, The Experiences of Tyresias, The Feminine and the Greek Man, Princeton, 1995, p. 23-32, si vedano le giuste osservazioni di Stewart, Gray, op. cit., p. 263 sq. Per il passo di Plutarco (una delle due testimonianze principali su cui si fonda tale erronea ipotesi) cioè Vita di Licurgo, 27,2,3, con l’emendamento di K. Latte, all’origine della teoria, si veda P. Brulé, L. Piolot, La mémoire des pierres à Sparte, Mourir au féminin : couches tragiques ou femmes hiérai (Plutarque, Vie de Lycurgue, 27,3), REG, 115, 2000, p. 485-517. Per le terrecotte votive cipriote che a partire dal VI secolo a. C. rappresentano il tema, P. Hundsdörfer, Die Gebärdehaltung in der Antike, in H. G. Hillemanns, H. Steiner, D. Richter, Die humane, familienorientierte und sichere Geburt, Stuttgart, 1982, p. 349-357.
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[10]
Esiste dunque la possibilità che queste stele non rappresentino donne morte ma siano uno dei tipi di rappresentazione della donna morta secondo una tipologia ideale, di cui fa parte la maternità. In questo caso, il gruppo di stele di cui qui si tratta diverrebbe ancora più rilevante : esse segnerebbero contemporaneamente il momento della tematizzazione di un evento non tematizzato fino a quel momento ed una eccezione nelle tipologia di rappresentazione.
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[11]
Stele funeraria, Atene, Mus. naz. 792, ca. 420-400 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 691. Di questo rilievo ha fatto problema la presenza dell’anfora loutrophoros rappresentata sulla destra in secondo piano (altri oggetti : kalathos sotto la sedia, scatola contro il muro). Si suppone che la donna sia morta dando alla luce un bambino e ciò rende la presenza della louthrophoros molto problematica essendo per lo più, ma non esclusivamente, associata a donne non maritate. Le altre stele riprodotte sono : Stele funeraria, Lyme Park, Stockport, Cheshire. National Trust, ca. 375-350 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 819. Stele funeraria, New York, Shelby White and Leon Lévy Collection, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 780a. Stele funeraria, Londra, BM 2894 . 6-16 . 1, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 786. Stele funeraria, Baltimore, Walters Art Gallery 23 . 176, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 714. Lekythos funeraria, Columbia, University of Missouri, Museum of Art and Archaeology 79 . 143, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 783. Per la lista delle stele che recano il tipo si veda Clairmont, op. cit., General Index, s.v. « Infant ».
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[12]
Stele funeraria, Paris, Louvre 2872, ca. 375-350 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 810.
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[13]
Stele funeraria, Atene, Mus. naz. 3790, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 780.
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[14]
Alla base di questa scena potrebbe essere un’iconografia coniata, ad esempio, per la scena di Telefo con Oreste infante che si protende. Vd., ad esempio, cratere a calice attico, Berlino, Arch. Mus., inizi del IV secolo a. C.; LIMC, I, s.v. « Agamemnon », Nr. 13.
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[15]
Stele funeraria, Atene, Museo del Ceramico P 695, I 221, ca. 420-400 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 660, cui rimando anche per la bibliografia. Un altro caso simile è la stele di Mnesagora, Clairmont, op. cit., 1 . 610. La fanciulla e il bimbo rappresentati, Nikokles, sono in realtà non madre e figlio ma due fratelli cui i genitori eressero la stele.
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[16]
S. C. Humphreys, Death and Time, in S. C. Humphreys, H. King, Mortality and Immortality, The Anthropology and Archaeology of Death, Londra, 1981, p. 261-283; Ead., The Family, Women and Death, Ann Arbor, 1993, p. 103, n. 30; utilissimo, anche se non specificamente legato a questo tema, Ead., Family Tombs and Tomb Cult in Ancient Athens, JHS, 100, 1980, p. 96-126.
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[17]
Sul rapporto non tautologico ma complementare fra rappresentazione figurata e iscrizione nelle stele funerarie si veda C. Clairmont, Gravestone and Epigram, Greek Memorials from the Archaic and Classical Period, Mainz, 1970; Id., Gravestone and Epigram, AA, 1974, p. 219-238; Id., « It ain’t necessarily so »... Remarks on some gravestones with inscriptions, Horos, 5, 1987, p. 45-57.
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[18]
Lekythos per Pheidestrate, Atene, Mus. naz. 1077 (Conze, I, Nr. 308); Clairmont, op. cit., 3 . 282. Lekythos per Killaron, Paris, Louvre MA 3115 (MND 726); Clairmont, op. cit., 3 . 375; Vedder, op. cit., tav. 21 . 1.
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[19]
Sulla tradizione iconografica di questo gesto vd. S. Settis, Immagini della meditazione, dell’incertezza e del pentimento nell’arte antica, Prospettiva, 2, 1975, p. 4-18.
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[20]
Sullo specifico legame fra questo gesto e la morte, nel contesto di un’iconografia diversa da quella di cui ci stiamo occupando, e sulla sua fortuna nell’arte post-antica, si veda il bell’articolo di S. Settis, Ars moriendi : Cristo e Meleagro, Ann. Sc. NS Pisa, serie IV, Quad. 1-2, p. 145-170.
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[21]
Un’eccezione si è voluta vedere nelle stele funerarie per soldati morti in battaglia, del tipo Dexileos. Anche in questi casi, infatti, sarebbe presente un’allusione all’ambientazione della morte. Ritengo che queste stele non mostrino, in realtà, alcuna allusione alle circostanze della morte, tanto che rappresentano il soldato morto in battaglia come vincitore trionfante sul nemico. Il soggetto pare piuttosto essere il valore in battaglia; va tuttavia detto che la stele di Dexileos reca, nell’iscrizione, la menzione della battaglia di Corinto nella quale Dexileos e i suoi compagni cavalieri trovarono la morte. Nulla a che vedere, comunque, con le stele e lekythoi per donne morte di parto che le mostrano nel momento della morte, in tutta la loro disperante debolezza di morenti.
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[22]
Lekythos funeraria, Atene, Museo nazionale 1055; Clairmont, op. cit., 3 . 463a; Vedder, op. cit., p. 165, tav. 21 . 2.
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[23]
Per le iscrizioni vd. Clairmont, op. cit., 3 . 463a e 3 . 462.
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[24]
Stele funeraria attica, Cambridge (Mass.), Harvard University, Arthur M. Sackler Museum 1905 . 8, Vedder, op. cit., p. 169-171, tav. 30; Clairmont, op. cit., 4 . 425; Stewart e Gray, op. cit., p. 248-274.
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[25]
Come notato da Stewart, Gray, op. cit., p. 259.
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[26]
Per un’analisi puntuale delle rilavorazioni e del loro significato vd. Stewart, Gray, ibid., p. 253 sq.
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[27]
Lekythos funeraria, Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptotek 2564, ca. 320 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 917; Vedder, op. cit., p. 169, tav. 22 .1.
-
[28]
Vedder, op. cit., e Stewart, Gray, op. cit. Alla fine del IV secolo - inizi del III appartiene il rilievo di Thasos, Mus. arch. 1172, molto frammentario, nel quale le figure sono più grandi del naturale. Si è pensato si trattasse di una scena che rappresenta Fedra ma il contesto di ritrovamento e iconografico farebbero protendere per considerarlo appartenente alla nostra serie. Su questo si veda Vedder, loc. cit., p. 171-172, tav. 24.
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[29]
Stele proveniente da Rodi, Rodi, Museo archeologico, III a. C., Vedder, op. cit., p. 173, tav. 25 .1, n. 54. Stele da Alessandria, Alessandria, Museo archeologico, III a. C., Vedder, ibid., p. 173 e n. 53, tav. 23 .2. Il modello compositivo è lo stesso che abbiamo osservato, ad esempio, nella lekythos per Killaron. È interessante che a comunicare lo stato di gravidanza della figura centrale contribuisce, in modo diverso dalle testimonianze viste finora, il modo in cui il mantello quasi incornicia il ventre. Nelle testimonianze di età ellenistica, questo è un tratto piuttosto comune come anche la rappresentazione non del lato corto della kline, ma del suo lato lungo. Gli altri esempi di età ellenistica conosciuti – altre due stele ad Alessandria, una a Mesembria e una, dipinta, a New York –, si possono trovare menzionati, con bibliografia, in Vedder, op. cit., p. 173, n. 53-56.
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[30]
Per un’analisi di simili tendenze nell’arte figurativa e nella cultura del IV secolo vd. Catoni, Quale arte, op. cit., in n. 7.
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[31]
Stele funeraria, Atene, Museo del Ceramico P 290 I 174, ca. 350-300 a. C.; Clairmont, op. cit., 3 . 442; Vedder, op. cit., p. 268 sq., tav. 22 .2. Stele funeraria, Atene, Museo nazionale 749, ca. 350-300 a. C.; Clairmont, op. cit., 4 . 470; Vedder, op. cit., 162 sq., tav. 23 .1.
-
[32]
Leggi, II,669 d 1-a 2; III,700, d 3-701 b 4; Repubblica, 397 a 1-b 2. Si veda W. D. Anderson, Ethos and Education in Greek Music, Cambridge, 1966, p. 74 sq.
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[33]
Su questo si puo vedere Catoni, Quale arte, op. cit., in n. 7.
-
[34]
Ateneo, Deipnosofisti, 352 a 8-b 1.
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[35]
Platone, Repubblica, 395 e.
-
[36]
Plinio, N.H., XXV,138 : « petulanti pictura innotuit, Iove Liberum parturiente depicto mitrato et muliebriter ingemescente inter opstetricia dearum ».
-
[37]
Boston, Museum of Fine Arts, 95 .39; LIMC, II, 2, Nr. 666, s.v. « Dionysos ».
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[38]
Anfora a figure rosse, già a Napoli; LIMC, III, 2, Nr. 70, s.v. « Eileithyia ». Cratere a volute apulo, fine V - inizi IV secolo a. C., Taranto, Mus. naz. I.G. 8264; LIMC, III, 2, Nr. 667, s.v. « Dionysos ».
-
[39]
Rilievo neoattico, Vaticano, Sala delle Muse 493 (inv. 328), età adrianea; LIMC, III, s.v. « Dionysos », Nr. 668. Il modello da cui dipende il rilievo viene situato dagli studiosi nella seconda metà del IV secolo; si ritiene inoltre che il rilievo fosse parte di un più articolato monumento coregico.
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[40]
Rilievo votivo, New York, Met. Museum, inizi IV secolo a. C.; Vedder, op. cit., p. 178, n. 77, tav. 25 .2; Hundsdörfer, op. cit., p. 350, n. 11 e p. 351, fig. 3.
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[41]
Cratere a volute apulo, Tampa Bay, Mus. of Art 87 .36, ca. 330 a. C.; LIMC, VII, s.v. « Semele », Nr. 7. Skyphos argenteo, Napoli, Museo nazionale 145508, dalla casa del « Menandro », prima metà del I secolo d. C.; LIMC, III, 2, s.v. « Eileithyia ».
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[42]
Settis, Ars moriendi, loc. cit., p. 149 sq. e n. 45 e p. 150 n. 48. Nello stesso lavoro (p. 150, n. 55) è possibile seguire la storia della scoperta di questa tradizione iconografica, in particolare riguardo al ruolo avuto da A. Warburg e dal suo amico A. Jolles.
-
[43]
Ps.-Demetrio, Sullo stile, 76 .4 sq.
1Le stele funerarie attiche rappresentano da tempo un arduo banco di prova per gli storici dell’arte. Molti i problemi tuttora irrisolti, a cominciare dall’identificazione di un criterio generale per individuare la figura del morto all’interno della scena figurata [1] o per l’interpretazione di determinati gesti, come la stretta delle destre, la dexíosis. Problemi forse mal posti, che presentano difficoltà che dovrebbero indurre alla ricerca non di un significato univoco, ma piuttosto di uno spettro di possibilità semantiche compresenti, caratteristica che rende, in generale, il linguaggio delle immagini sî più ambiguo ma al contempo più ricco e aperto a modalità di fruizione differenziate rispetto a quello della parola. Le stele funerarie attiche sono però anche, per lo storico dell’arte e per lo storico della mentalità, mezzo preziosissimo per comprendere fenomeni rilevanti, fra i quali il rapporto fra la produzione di manufatti legati all’ambito di committenza privata e l’arte pubblica, le modalità di autorappresentazione del cittadino, i valori che determinati schemi iconografici esprimono, la loro persistenza – in un genere, quello funerario, tendenzialmente conservativo – e le loro variazioni.
2I monumenti funerari si propongono di rappresentare un distillato di ethos al fine di dare un’immagine del defunto valida per sempre e che rispecchi valori immortali, largamente condivisi e, come vedremo, sovrapersonali. In virtù soprattutto del loro alto tasso di invarianza e della loro appartenenza ad una sfera « intima » e sensibile, quale è quella del rapporto con la morte, le stele funerarie ci dicono pertanto moltissimo sulla storia della mentalità e sui mezzi di volta in volta attuali per rappresentare quei valori.
3Il linguaggio che le arti mimetiche hanno a disposizione per comunicare sono gli schemata [2]. Il significato di questo termine in greco è solo parzialmente comprensibile attraverso la traduzione di « schema iconografico ». Le più antiche attestazioni del termine e il suo uso più comune nelle fonti letterarie greche non sono correlati alle arti figurative; e anche quando, ad esempio in testi di II secolo d. C., il termine venga ampiamente utilizzato per descrivere immagini, sullo sfondo, ormai, dell’esistenza di una pratica letteraria confrontabile con ciò che chiamiamo storia dell’arte, anche in questi casi schema conserva in greco un significato più denso del nostro « schema iconografico ». Uno dei tratti di densità semantica che mi preme qui richiamare vede il termine schema al centro di pratiche apparentemente diverse : la vita reale e l’etichetta comportamentale come gesti e atteggiamenti; la danza, o meglio la mousikè – che in Grecia vedeva inscindibilmente connesse musica e danza –, arte che attraverso la reiterazione e la standardizzazione dei gesti li fissa e li rende ripetibili; e infine le arti figurative. Ciò che tutti gli ambiti d’uso del termine schema hanno in comune è la funzione : comunicare valori precisi e riconoscibili. Figure di danza nella mousikè, gesti nella vita reale e schemi iconografici nelle arti figurative sono schemata, le unità semantiche di base per comunicare valori ed ethe. Essi sono portatori di significati determinati tanto da divenire, ad esempio, importanti « segni » nell’ambito della fisiognomica o nella classificazione degli animali o nel riconoscimento di un personaggio rappresentato a teatro, in pittura, in scultura o nella danza.
4L’arte mimetica in grado di comunicare ethe e valori in forma non mediata è, nella concezione dei Greci, la mousikè, di cui la danza è parte. Molti testi antichi ce ne sono testimoni. Ne citeremo qui solo uno, Aristotele il quale, nel discutere un tema tradizionalmente parte dei trattati politici, l’educazione dei giovani, analizza la funzione etica e paideutica della mousiké. Essa realizzerebbe la sua funzione educativa proprio attraverso la rappresentazione di pathe ed ethe [3] :
5« Nei ritmi e nei canti ci sono rappresentazioni [4] (homoiómata) di rabbia e mitezza, e di coraggio e saggezza e di tutti i loro opposti e di tutti gli ethe, rappresentazioni che corrispondono nel grado più alto possibile alla vera natura di questi ethe (e questo è chiaro dai fatti; infatti cambiamo stato d’animo quando ascoltiamo tali rappresentazioni). [...] Accade, fra gli oggetti sensibili, che, da un lato, in alcuni non vi sia alcuna rappresentazione di ethe. È il caso, ad esempio, degli oggetti del tatto e del gusto (anche se negli oggetti della vista ve n’è un poco : esistono infatti schemata di questo tipo [scil. in grado di rappresentare gli ethe], anche se in minimo grado, e inoltre non tutte le persone partecipano della medesima percezione). E ancora, questi, intendo gli schemata e i colori degli ethe che vengono prodotti, non sono rappresentazioni (homoiómata) degli ethe, ma piuttosto indicazioni (semeîa) di essi. E anche in questi casi essi riguardano il corpo in stati di pathos. È solo dunque perché v’è tuttavia una differenza anche circa l’osservazione di questi, che occorre che i giovani guardino non le opere di Pausone ma quelle di Polignoto o di chiunque altro, pittore o scultore, che rappresenti ethe (lett. che sia etico). Dall’altro lato nei canti vi sono rappresentazioni (mimémata) degli ethe [...]. »
6Solo la mousikè è dunque in grado di produrre rappresentazioni degli ethe che risultino in massimo grado vicine alla natura stessa dell’ethos rappresentato. In altre parole, solo la mousikè può rappresentare veramente valori astratti. Le arti figurative, invece, devono ricorrere ad un tramite corporeo, necessitano di un medium, di un esempio concreto di quel valore astratto. Per rappresentare la virtù militare, ad esempio, dovranno raffigurare un guerriero vincitore, non potendo dar figura direttamente al valore astratto [5].
7Questo brano tratto dalla Politica di Aristotele esprime concetti che trovano paralleli in molte altre fonti, a cominciare da Platone che, all’interno delle sue opere politiche – la Repubblica e le Leggi –, dedica un’analisi sistematica e specifica alla funzione mimetica e paideutica della mousikè. Questa assume addirittura il ruolo di arte – guida : essa, infatti, non solo ha il potere di plasmare l’ethos dell’anima e dunque il carattere dei cittadini – e dunque dello Stato –, ponendo sotto i loro occhi rappresentazioni « pure » degli ethe, non solo può istillare l’amore per gli ethe positivi e la repulsione per quelli negativi o viceversa, ma assolve anche ad una funzione più generale. Una buona educazione nella mousikè mette infatti in grado, secondo Platone, di « accorgersi con grande acutezza di ciò che è brutto o imperfetto nelle opere d’arte o in natura » [6].
8Il testo di Aristotele ci pone di fronte ad un altro tratto che ricorre con frequenza nelle analisi antiche della mousikè : il confronto più o meno esplicito con pittura e scultura. Senza entrare nel dettaglio di tale confronto, ci basti qui dire che esso avviene sul terreno della maggiore o minore efficacia nel rappresentare valori al fine di plasmare l’animo e di instillarvi buoni ethe [7].
9Un esame dettagliato delle fonti rivela che il fulcro intorno al quale ruota e che anzi permette tale confronto è proprio la danza, pratica onnipresente nella cultura e nella vita civica e religiosa delle città greche, che rivestiva un ruolo cospicuo nelle rappresentazioni poetiche, teatrali, cultuali e religiose.
10La danza ha in comune con le arti figurative l’uso delle unità semantiche di base per la realizzazione della rappresentazione, cioè gli schemata. Talvolta gli stessi schemata, in movimento all’interno di una rappresentazione orchestico – musicale, venivano poi fissati in pittura e scultura. La reiterazione nella danza e la fissazione operata dalle arti figurative cooperavano alla costruzione di un linguaggio iconografico stabile in grado di assolvere ad efficaci funzioni di comunicazione. È questo dunque, quello della forte interrelazione fra arti mimetiche – affermata ma più spesso presupposta come ovvia dalle nostre fonti –, lo sfondo sul quale leggere le immagini.
11La norma, nella Grecia di età arcaica e classica, sia per i monumenti onorari che per quelli funerari che per le statue ritratto, era quella di rappresentare non tratti individuali della persona ritratta, né un evento « reale » che la riguardasse, quanto piuttosto di dar evidenza visiva ad un valore etico generale. Gli schemata – gesti, atteggiamenti, schemi iconografici – del buon cittadino e del buon guerriero, solo per citare due esempi, incarnano e comunicano valori generali [8].
12Questa regola è valida anche per l’ambito funerario. Ad essa si aggiunge una declinazione specifica al genere, che prevede che non venga mai rappresentato il momento della morte né vi si faccia allusione. Si tratta di una regola non specifica al mondo greco e valida ancora per noi oggi quando, sulla tomba di una persona cara, scegliamo di porre una fotografia che ne ricordi l’essenza, l’ethos, e non invece il momento vicino alla morte. Ma il parallelo si ferma qui : in Grecia infatti vigevano regole molto rigide e tipologie di rappresentazione molto specifiche attraverso le quali si potevano commerorare altrettanti « tipi » di defunto. Un soldato morto in battaglia, in Grecia, verrà di norma ricordato attraverso uno schema iconografico adatto a rappresentarne la virtù militare – tanto per cominciare sarà rappresentato come vincitore trionfante sul nemico anche se di fatto morî sul campo di battaglia sotto i suoi colpi ; per un ragazzo morto nel fiore degli anni si sceglierà uno schema iconografico adatto a rappresentarne la bellezza e il vigore, e cosî via.
13È solo nel IV secolo, e comunque al livello filosofico e retorico, che comincia ad incrinarsi la certezza che lo schema iconografico debba rappresentare valori generali e non invece eventi effettivamente avvenuti. La « crisi » di questa regola fu solo momentanea per il genere funerario, ma produsse enormi mutamenti in altri generi artistici : basti pensare all’affermarsi e al diffondersi, in questo periodo, del ritratto fisiognomico in luogo del « ritratto » ideale o al gusto per una resa patetica e realistica nella scultura del IV secolo a. C. La crisi della regola fu parte di una più ampia discussione che si espresse nell’esame del rapporto fra apparenza e realtà, fra verità e menzogna e, nel dominio specifico delle arti figurative, del rapporto fra schemi iconografici (rappresentazione) e verità. La versione platonica di tale critica, in particolare alle arti figurative, si appuntò sulla loro alta capacità di ingannare. Un rigido sistema di stilizzazione comportamentale, fondato su precisi schemata (che rispondevano a criteri di euschemosyne – eleganza o aschemosyne – ineleganza) aveva dominato per tutto il V secolo non solo le arti mimetiche ma anche la vita reale, l’etichetta : esso imponeva determinati schemata in ogni situazione della vita. Apprendere e porre in atto tali schemata corporei rappresentava un sapere concreto, una competenza attiva, che faceva tutt’uno con la capacità di leggere e dunque di recepire il messaggio veicolato dai prodotti delle arti mimetiche (fossero essi immagini scolpite o dipinte o figure rappresentate in teatro o danzate). E anche l’articolata sfera funeraria – dal funerale, al compianto funebre, alla rappresentazione del morto – prevedeva regole comportamentali e rappresentative precise : basti pensare alla rigida ritualità gestuale del compianto sul morto.
14Analizzeremo qui un piccolo gruppo di monumenti funerari attici omogeneo dal punto di vista tipologico, piuttosto contenuto numericamente e ben situabile cronologicamente. Si tratta di un gruppo di stele e lekythoi funerarie la cui produzione inizia nel decennio 370-360 a. C. Furono approntate per donne morte di parto [9].
15L’evento della morte di parto potrebbe essere stato tematizzato prima di questa data ma, come vedremo, la strada scelta dal nostro gruppo di monumenti non solo non era l’unica possibile ma segnò anzi una decisa deviazione dal modo normale di rappresentare questo tema. Anche se non conosciamo casi nei quali l’interpretazione sia sostenuta dalla presenza di iscrizioni, alcune stele, prodotte prima del gruppo che analizzeremo, vengono generalmente riferite a donne morte di parto e rappresentano, per cosî dire, la norma [10]. Alcuni esempi, scelti fra molti (fig. 1-4), databili al periodo 420-375 [11], mostrano lo schema « normale » utilizzato verosimilmente per ricordare una donna morta di parto.
16Lo schema normale, sin dalle prime stele in cui potrebbe comparire questo tema – databili all’ultimo ventennio del V secolo –, prevede una figura femminile seduta, l’acconciatura in bell’ordine, elegantemente vestita di chitone ed himation, che tiene in grembo un bambino in fasce (fig. 1-2); all’incirca nello stesso periodo, viene coniata un’iconografia che prevede una figura ausiliaria, una parente o una schiava, a tenere in braccio il bambino (fig. 3-4), uno schema questo che ebbe il suo floruit nel primo trentennio del IV secolo. La stele riprodotta alla fig. 5 presenta la donna nell’atto di chinare la testa verso un nenonato in fasce che ella tiene in grembo. Ha davanti un ragazzino con in mano un volatile. Si ritiene che la giovane madre possa essere morta dando alla luce il suo secondo bambino. Lo schema è presente non solo su stele funerarie ma anche su lekythoi : una lekythos (fig. 6) databile agli anni 400-375 presenta lo schema che prevede la figura ausiliaria a tenere il neonato. Non è chiaro se la scelta di porre l’infante in braccio ad una figura ausiliaria o in braccio alla madre sia riferibile ad un evento concreto: al fatto, per esempio, che il bambino sia sopravvissuto o meno alla madre.
17Dal punto di vista iconografico vi è una sostanziale stabilità nella rappresentazione del tema. Proprio per questo, alcune forti variazioni dello schema, dei veri hapax, hanno condotto gli studiosi ad ipotizzare situazioni molto specifiche.
18È il caso ad esempio di una stele (fig. 7) [12] databile agli anni 375-350, nella quale la defunta, in piedi invece che seduta, tiene in braccio un neonato mentre l’ancella di fronte a lei ne tiene un secondo : si pensa che la donna possa essere morta dando alla luce due gemelli. Un vero unicum rappresenta la stele per Phylonoe [13], nella quale il bambino si protende verso la madre defunta. La formula iconografica standard viene fortemente variata in senso patetico [14].
19Esistono casi nei quali lo schema iconografico trae in inganno. È il caso della stele di Ampharete [15] (fig. 8), una stele di altissima qualità databile agli anni 420-400, in controluce alla quale gli studiosi hanno visto una situazione particolare. La donna è seduta, vestita di chitone ed himation, i capelli acconciati in bell’ordine, e tiene teneramente in grembo un neonato. I suoi tratti sono giovanili. Non v’è dubbio che, in assenza dell’iscrizione, interpreteremmo questa stele in serie con tutte le altre, concludendo che possa trattarsi di una madre morta dando alla luce il bambino. L’iscrizione smentisce però, in questo caso, l’interpretazione :
20« Ho qui il caro figlio di mia figlia. Quando, essendo in vita, vedevamo la luce del sole lo tenevo sulle mie ginocchia e anche ora, morta, tengo lui, morto. »
21Una nonna col suo nipotino dunque. Ma come è possibile che per questa stele sia stato scelto uno schema iconografico normalmente utilizzato per rappresentare una madre col proprio figlio ? Questa scelta da parte dei committenti ha suscitato molte discussioni fra gli studiosi. Si è formulata l’ipotesi che la famiglia possa essersi trovata in una situazione di emergenza a causa delle due improvvise morti, forse causate dalla peste che afflisse Atene dal 430 a. C.; spinti dalla fretta, i congiunti avrebbero scelto una stele già pronta pur con uno schema non pertinente. A supporto di questa ipotesi si è portata l’età di Ampharete, rappresentata come una giovane madre pittosto che come una vecchia nonna. La storica Sally Humphreys [16] ha fatto tuttavia notare che a 30 anni, in Grecia, una donna poteva ben essere nonna, invalidando l’argomento della rappresentazione dell’età, da ritenere peraltro poco significativa anche dal punto di vista strettamente storico artistico. Resta invece l’obiezione più seria, e cioè che per questa stele, che commemora una nonna con il nipote infante, venne utilizzato lo schema che gli studiosi normalmente associano ad una madre con bambino. Per quanto questo monumento possa rappresentare un’eccezione, segnalata forse proprio dall’iscrizione che – in modo assai inusuale – commenta l’immagine specificando il rapporto fra la donna e il bambino rappresentati [17], sta di fatto che la famiglia, anche nel caso in cui si sia trovata in una situazione d’emergenza, non può aver scelto una rappresentazione percepita come totalmente non pertinente alla situazione. Occorrerà, credo, pensare ad un rapporto più libero fra schema iconografico e valore rappresentato : una possibilità è che di Ampharete si scelga di ricordare l’amorevolezza materna, esemplificata attraverso il suo schema da madre. A favorire la scelta, fors’anche a determinarla, può aver certamente contribuito la morte del bambino e, forse, la necessità di ricordare entrambi in una sola stele funeraria.
22Da questi pochissimi esempi è chiaro quanto saldamente essi siano vincolati alla regola del genere funerario di non rappresentare le circostanze della morte e di non inserire alcun elemento, di ambientazione o di decoro o di fisionomia, che faccia riferimento ad una situazione o ad una condizione specifica della vita del defunto. Si opta invece per una rappresentazione astratta e generale, atemporale e aspecifica dell’ethos che si sceglie o è costume ricordare del defunto – o, meglio, di tipologie molto generali di defunti, come madre, padre, guerriero, bel giovane, etc. Il bimbo in fasce può certo far riferimento alla maternità e magari anche al pericolo insito nel parto. Ma se quest’ultima valenza esiste, essa rimane al di fuori della rappresentazione : non v’è infatti alcun indicatore iconografico interno alla scena figurata delle circostanze della morte. Le donne sono rappresentate secondo un canone ideale di perfezione, i vestiti, i capelli, la sedia, tutto è in perfetto ordine. Rispettano in tutto la regola d’oro. Di loro resta ai posteri un messaggio : erano donne belle e dignitose e madri amorevoli.
23Un piccolo ed eccezionale gruppo di lekythoi e stele funerarie, sono in tutto dieci, sembra invece violare quest’ordine. Sono tutte prodotte a partire dal primo trentennio del IV secolo a. C. fino agli anni ‘20 dello stesso secolo, con qualche sporadica coda in età ellenistica (ne sono conosciuti sei esemplari). Le più antiche della serie sembrano essere due lekythoi, prodotte rispettivamente per Pheidestrate e per Killaron (fig. 9-10) [18].
24La lekythos per Pheidestrate (fig. 9) reca iscritti i nomi delle due figure principali. Mnesagora, figlia di Chairippos, sulla sinistra, è vestita di chitone con maniche e l’himation le copre il capo. Porta la mano alla guancia, un gesto che ha qui funzione di compianto funerario [19]. Impressionante la figura di Pheidestrate figlia di Cherias del demo di Hagnous. È abbandonata su una sedia ed esegue, con la parte superiore del corpo, una torsione molto innaturale che ne porta in forte evidenza la porzione superiore, il seno e l’addome. Sulle stele e le lekythoi di questo periodo, il corpo della donna seduta viene rappresentato di profilo, talvolta con una leggerissima torsione verso lo spettatore. Nel nostro caso, il torso è rappresentato in posizione fortemente frontale, una variazione dalla norma molto significativa e legata alla condizione specifica della donna, quella di partoriente. Rispetto alla parte inferiore del corpo, la testa di Pheidestrate è inclinata verso la spalla sinistra. Il chitone, molto sottile, è cinto subito sotto il seno, molto più in alto rispetto al modo normale. Un tratto, questo, che, accanto alla variante che prevede il chitone non cinto, rappresenta un indicatore specifico della condizione di gravidanza. L’himation non copre le spalle, come avviene normalmente, ma solo la parte inferiore del corpo e anche questo contribuisce, insieme alla torsione, a porre in forte evidenza il seno e l’addome. Colpisce l’acconciatura : i capelli non sono ordinatamente ed elegantemente acconciati ma, liberamente sciolti, ricadono disordinati sulle spalle. Il braccio sinistro di Pheidestrate è abbandonato lungo il corpo [20] e non invece elegantemente posato in grembo o sulle gambe mentre, col braccio destro portato al capo, fa un gesto di alta intensità patetica. Una serva, vestita di chitone, sorregge la morente da dietro, ponendo il braccio sinistro sotto il braccio della sua padrona.
25Una scena molto simile, ma con qualche variante, presenta la lekythos di Killaron, figlia di Pitodoro da Argile (fig. 10). Una prima differenza è che la donna sta non su una sedia ma su una kline, un letto, sulla quale è adagiato una specie di materasso. La kline è indicazione molto precisa, topografica, del contesto domestico nel quale avviene la scena e ancora una volta siamo di fronte ad una significativa violazione della regola che vediamo rispettata nelle stele funerarie « normali » [21]. Da sinistra accorre una donna in chitone e himation che con la destra sorregge il braccio destro di Killaron e le pone la sinistra sul collo. Killaron non siede sul letto, vi sta quasi cadendo sopra in un equilibrio precario : il suo piede destro è un po’ sollevato dal poggiapiedi. La rappresentazione della kline e la posizione scomposta della donna sono indicazioni di un momento specifico della vita di Killaron : un momento che, da corononamento delle ambizioni di una donna e giustificazione del suo ruolo nella famiglia, quello del parto, diviene tragica causa di morte. Il corpo è rappresentato frontalmente, l’addome in forte evidenza, la testa in torsione verso la propria sinistra. I capelli, sciolti, ricadono disordinatamente sulle spalle. Indossa un chitone a maniche corte e un himation che le avvolge la parte bassa del ventre. Il chitone non è cinto. Killaron abbandona il braccio sinistro lungo il fianco ed è sorretta, da dietro, da una giovane serva.
26Queste due lekythoi ci permettono di individuare un nucleo iconografico comune, composto dalla figura centrale della donna seduta o che si adagia su una kline e dalla figura di una giovane serva che la sorregge da dietro. Una terza figura, ma con funzione diversa, compare sulle due lekythoi : nella lekythos di Pheidestrate, sulla sinistra, staccata funzionalmente e iconograficamente dal gruppo, compare una figura di compiangente. Nel caso della lekythos di Killaron, invece, la terza figura è sia funzionalmente che iconograficamente legata alla scena : una figura femminile, forse una parente stretta, che accorre in aiuto da davanti, figura che, per la sua posizione e abbigliamento, è identificabile come avente funzione di levatrice.
27La lekythos per Theophante (fig. 11) [22] presenta lo stesso nucleo iconografico principale che abbiamo ormai individuato, anche se la rappresentazione si svolge in senso opposto rispetto alle due che abbiamo appena analizzato. A sinistra una donna, probabilmente una serva, in chitone a maniche corte e himation, vista da dietro a causa del rovesciamento dell’intera scena, sorregge la morente ponendole il braccio destro sotto l’ascella. Theophante è adagiata su una sedia con cuscino, vestita di sottile chitone, non cinto, che le sta scivolando giù dalle spalle e un himation che copre solo la parte inferiore del corpo. Il torso è quasi in visione frontale, frutto di una innaturale torsione, la testa fortemente inclinata a destra. Anche in questo caso il ventre della donna è molto in evidenza. Theophante ha i capelli sciolti che le ricadono sulle spalle. Il braccio destro è completamente abbandonato lungo il corpo, il braccio sinistro è sorretto dalla figura di un uomo barbato, il padre Kallias o il marito Olimpiodoro, che, oltre a sorreggerla fa anche, portando la destra al capo, un gesto di compianto funerario. Questa figura barbata opera una crasi iconografica fra la figura del compiangente, normalmente staccata sia funzionalmente che spazialmente dal nucleo della scena, e quella della levatrice che accorre da davanti afferrando il braccio proteso in avanti della morente.
28La lekythos per Theophante ci permette una considerazione relativa al contesto nel quale questi monumenti funerari venivano posti. Esistono infatti altre quattro iscrizioni – tre su mensae una delle quali avrebbe potuto far da supporto alla nostra lekythos e una su di un architrave di marmo pentelico – che possiamo variamente riferire a Teophante e a membri della sua famiglia; esse ci informano del fatto che suo marito era Olimpiodoro del demo di Anaphlystos. L’iscrizione sull’architrave menziona Olimpiodoro, con patronimico e demo di provenienza, e Teophante, della quale veniamo a sapere che era figlia di Kallias del demo di Agryle. Questa iscrizione potrebbe essere riferibile ad una stele funeraria che conosciamo. Essa rappresenta una scena di dexiosis nella quale Teophante, seduta e rappresentata come una donna matura – fase della vita che la donna, nella realtà, non raggiunse mai –, stringe la destra ad Olimpiodoro in piedi. Nel contesto dello spazio della tomba di questa famiglia, alla stele verrebbe dunque affidato il compito di comunicare l’immagine « ufficiale » (e piuttosto convenzionale) di una famiglia benestante ateniese. La lekythos si riferisce invece in modo più personale a Teophante, ad un evento in qualche modo circostanziale, e al tempo stesso marginale rispetto all’autorappresentazione familiare nel contesto della tomba. Essa ricorda un evento drammatico della sua vita e di quella della sua famiglia : la tragica morte della giovane donna mentre dava alla luce suo figlio [23].
29Alla stessa tradizione iconografica appartiene anche una stele databile agli anni ‘40-‘30 del IV secolo (fig. 12) [24]. La stele è particolarmente interessante perché è stata pesantemente rilavorata. All’interno di una sorta di naiskos, che probabilmente rappresenta un portico che dà sull’interno della casa [25], vediamo ancora il gruppo della donna seduta sorretta da dietro da una serva. Sulla sedia sono stati posti tre alti cuscini. La donna indossa un chitone finisssimo a maniche corte che le stanno scivolando giù dalle spalle. Il mantello è avvolto intorno alla parte inferiore del corpo. Il chitone è cosî trasparente che la parte superiore del corpo appare quasi nuda, il ventre molto in evidenza. I capelli sono ben pettinati all’indietro. Il braccio sinistro, nel suo abbandono, tocca il margine della sedia. All’estrema sinistra compare una figura femminile la cui testa è andata perduta : tiene il braccio destro trasversalmente al corpo, l’altro braccio doveva essere portato al mento in un gesto di compianto. Dietro la morente, una schiava in chitone a maniche lunghe le tiene il polso sinistro. La figura maschile che stringe la mano alla donna seduta è stata rilavorata. Si trattava originariamente di una figura femminile di vecchia, la levatrice, con indosso un chitone a maniche corte e himation portato sulla spalla destra, a coprire poi avanbraccio sinistro e parte inferiore del corpo; come nelle altre stele e nelle lekythoi della nostra serie, la donna afferrava con la mano destra la morente. La figura è stata trasformata in una figura maschile barbata, il braccio destro accorciato attraverso la creazione di una mano. Il volto dell’uomo barbato reca ancora evidenti le rughe che solcavano il volto della vecchia levatrice. Queste rilavorazioni, apportate in un momento non lontano da quello della produzione della stele, sono parte di una generale trasformazione dell’intero significato e funzione della stele. La committenza ha scelto di mutare una scena di morte di parto in una più convenzionale scena di dexiosis [26], nella quale moglie e marito si stringono reciprocamente la mano destra. Va tuttavia notato un fatto importante : la prima versione della scena, quella di morte di parto, era realizzata in modo più contenuto e meno drammatico rispetto, ad esempio, a quelle sulla lekythos per Pheidestrate e Killaron. La donna è seduta in modo più composto, i suoi capelli sono ben acconciati e raccolti sulla nuca, la frontalità di ventre e addome meno marcata, il braccio sinistro non è totalmente abbandonato, il volto è rappresentato di tre quarti, rivolto all’uomo. Siamo di fronte ad una versione edulcorata che non ha nulla a che fare con la patetica rappresentazione del preciso momento dell’acme di sofferenza della morente. Su questo tono minore di drammaticità, ha potuto felicemente innestarsi la rilavorazione che ne ha totalmente mutato tema e tono.
30La prima versione della scena sulla stele prevedeva quattro figure : tutte ci sono funzionalmente e iconograficamente note dai monumenti che abbiamo analizzato finora. La donna seduta, la serva giovane che la aiuta e sorregge da dietro, la levatrice (più vecchia) che la soccorre da davanti e la figura di un compiangente.
31Esiste dunque un nucleo immodificabile di questa scena, presente su tutti gli esemplari che attestano il tema : si tratta del gruppo « donna seduta + serva » che sorregge da dietro. Esistono invece altre due figure, la levatrice/parente che accorre da davanti e la/il compiangente, che possono essere :
1 – presenti entrambe, nella versione a quattro figure
2 – presenti una a scapito dell’altra, nella versione a tre figure
3 – presenti ma concentrate in una sola figura, attraverso variazioni che realizzano una crasi iconografica fra le due funzioni. Nei casi di crasi iconografica, la funzione della levatrice viene offuscata – ne resta una traccia nella posizione occupata e nel gesto di sorreggere la mano – a vantaggio della funzione del compianto.
32Nella lekythos di Copenhagen (fig. 13) [27], la morente è rappresentata in forte frontalità : sta per sedersi su una kline con cuscino e volge leggermente il capo verso la propria sinistra. Indossa un chitone con maniche e un himation che le copre la spalla sinistra e il braccio sinistro, portato diagonalmente sul corpo. I capelli sono ben pettinati all’indietro. A destra una figura femminile, probabilmente di età avanzata, si china leggeremente in avanti mentre sorregge la donna. La figura non è molto leggibile, forse indossa peplos e himation. La mano destra è posata sulla spalla della figura centrale, la mano sinistra è posta sotto la mano della morente. Sulla sinistra, una fanciulla in chitone a maniche lunghe cinto in vita allunga il braccio destro : la donna sulla kline appoggia la sua mano sul dorso della mano della giovane serva. Quest’ultima volge il capo e nasconde il volto dietro l’avambraccio destro, come a coprire il dolore. Si tratta di un gesto assolutamente unico, molto teatrale e non del tutto ben riuscito. È interessante notare due cose : se negli altri esempi che abbiamo osservato, la figura centrale recava tratti indicatori dello stato di gravidanza, la donna seduta in questa lekythos ha i capelli in ordine, il mantello ben drappeggiato e portato, in bell’ordine, sulla spalla sinistra. Gli unici indicatori iconografici del fatto che si tratta di una scena appartenente alla nostra serie sono la composizione (serva che sorregge da dietro, parente / levatrice che aiuta da davanti) e la presenza della kline al posto della più normale sedia. Siamo anche qui di fronte ad un ulteriore esempio della tendenza a stemperare la drammaticità della scena, tendenza che abbiamo osservato anche nella prima versione della stele di Cambridge (fig. 12), sulla quale ha potuto con successo innestarsi la rilavorazione che ne ha infine cancellato la drammaticità e il tema stesso.
33Il gesto della fanciulla di sinistra è molto interessante : la sua stranezza e mal riuscita esecuzione potrebbe essere indizio del fatto che si tratti di un tentativo di operare una crasi fra i due gesti normalmente svolti da figure diverse. Il gesto dell’accorrere in aiuto protendendo le braccia, normalmente svolto dalla levatrice, e il gesto del compianto, normalmente svolto da una figura (un parente) leggermente distaccata dal gruppo delle tre donne. Abbiamo già osservato che sono in particolare questi due gesti ad essere suscettibili di sperimentazione di soluzioni di crasi iconografica, mentre resta per lo più intatto il gesto della serva che da dietro sorregge la morente.
34Senza analizzare l’intera serie delle stele e delle lekythoi, analisi che è già stata brillantemente condotta da altri [28], annotiamo che la produzione di queste stele si concentra nel periodo 370-60 / 320 a. C. Quanche coda in età ellenistica, come ad esempio la stele di Rodi o di Alessandria (fig. 14-15) [29], mostra da un lato che la fortuna del tema ebbe estensione sia temporale che geografica limitatissima e dall’altro che venne privilegiata la tendenza, che abbiamo osservato anche in esemplari di tardo IV secolo, a stemperare gli accenti più fortemente patetici.
35Possiamo senz’altro parlare, dunque, nel caso del nostro gruppo di stele e lekythoi, di un esperimento fallimentare all’interno del genere funerario. Ciò è forse dovuto al fatto che troppe regole, radicatissime e proprie del genere, vengono violate : nella scelta del tema, nella scelta di raffigurare la morente al culmine della debolezza e della drammaticità e infine nella scelta di inserire riferimenti a luoghi e momenti precisi ed individuati. Nelle stele funerarie i defunti sono, di norma, immersi in cornici astratte che non fanno riferimento ad alcun luogo preciso, sono proiettati in un’atmosfera rarefatta, dominata dal silenzio. In questi esemplari, al contrario, le urla e il clamore, i gesti concitati, luoghi, momenti e perfino il mobilio (la kline) ben precisi dominano la scena. La stele di Cambridge e la lekythos di Copenhagen ci mostrano una tendenza di ritorno all’ordine, del lento ri-imporsi delle secolari regole del genere funerario. E il genere fu, in questo caso, più forte delle vocazioni alla sperimentazione. Nel breve volger di qualche decennio l’esperimento, in grado per circa cinquant’anni di aprire un varco nella pesante stilizzazione della rappresentazione della morte – specchio della stilizzazione e delle regole comportamentali della vita –, fu presto dimenticato.
36Ciò è tuttavia vero in una prospettiva tutta ed esclusivamente interna al genere funerario. Se prendiamo in considerazione da un lato le tendenze culturali ed artistiche del IV secolo e dall’altro i tratti che caratterizzeranno la successiva arte ellenistica, l’esperimento fallimentare testimoniato dai nostri monumenti assume un diverso peso. La tendenza stilistica e di mentalità di cui queste stele e lekythoi sono specchio si palesano in molte altre testimonianze del tempo, nelle arti figurative, nel teatro, nella mousikè, nella letteratura. Ciò è vero ad esempio per la predilezione sia di temi che di rese stilistiche dai forti accenti patetici; per l’indebolirsi dell’articolato e rigido sistema di schemata che regolava l’etichetta del pubblico apparire (in qualunque medium); per le tendenze « realistiche » riscontrabili sia nella pratica artistica – basterà pensare alla manifestazione più importante, il ritratto fisiognomico – che nella riflessione teorica sull’arte che, proprio in questo periodo, individua in modo specifico nella somiglianza al vero – piuttosto che nel concetto di bello-buono – il pregio di un’opera d’arte, ma anche di un mimo o di un ballerino. E basterà solo accennare a quanto la ricerca in queste direzioni sia condotta a soluzioni estreme nel periodo ellenistico [30].
37Queste stele e lekythoi sono dunque una testimonianza preziosissima, pur nella loro marginalità. Anzi, forse proprio in virtù della loro marginalità. Prima di chiedersi quali siano le condizioni specifiche che, dalla prima metà del IV secolo in poi, resero possibile tale sperimentazione, torniamo per un attimo alle testimonianze figurate, in particolare a due altre stele di partorienti.
38Si tratta di due stele [31], appartenenti al nostro gruppo, che si datano agli anni venti del IV secolo. Stephane (fig. 16) siede, come al solito, su una kline. Il sottile chitone a maniche corte è cinto molto alto e l’himation è avvolto intorno alla parte inferiore del corpo. I capelli sciolti le ricadono sulle spalle. Protende il braccio destro verso Nikomenia che, in chitone a maniche corte e himation, le presta soccorso. Nikomenia tiene nella destra un oggetto difficilmente identificabile, forse una spugna con la quale tenta di dar sollievo alle sofferenze della morente. La serva giovane, sulla destra, porta la mano al capo in segno di compianto e pone la sinistra sotto il gomito di Stephane. L’iscrizione identifica anche Nikomenia : era forse una donna anziana della famiglia, forse la madre di Stephane, che funge da levatrice. Notiamo come nella figura della giovane serva sulla destra si realizzi la crasi iconografica del compianto e dell’ausilio : l’unico caso nel quale l’espediente iconografico viene utilizzato per la figura della giovane serva che sorregge la morente da dietro.
39La stele di Plangon, figlia di Tolmides di Platea (fig. 17) presenta una scena a quattro figure : un uomo barbato, il padre di Plangon, Tolmides di Platea, come ci informa l’iscrizione, in himation, sta in piedi sul margine sinistro della stele. Esegue un gesto di compianto. Una donna in chitone a maniche corte, con cintura e himation, si muove velocemente verso destra, entrambe le braccia distese. Con la destra sostiene il braccio, ormai quasi senza vita, di Plangon. Quest’ultima è rappresentata mentre con drammatica scompostezza sta quasi cadendo all’indietro su una kline, sorretta ancora da un cuscino. La morente è rappresentata nel momento del massimo pathos, nessun tratto di compostezza, di dignità. Sembra che il fine della rappresentazione sia non quello di immortalare l’ethos della defunta ma piuttosto di sottolineare che queste morti, quelle di parto, recano in sé un sovrappiù di drammaticità rispetto alle altre morti : il tragico rovesciamento di segno del parto, da evento gioioso, fausto, che porta un nuovo membro all’intera famiglia, ad evento che drammaticamente sottrae la giovane madre al mondo dei vivi.
40Plangon cade all’indietro diagonalmente, la gamba destra scatta verso l’alto in un movimento incontrollato, i capelli ricadono liberamente sulle spalle, il sottile chitone scivola giù dalla spalla sinistra. Il mantello non copre che le gambe. Plangon poggia la gamba sinistra su un panchetto, lo stesso sul quale è giunta la parente / levatrice anziana che cerca di aiutarla. A destra una serva giovane in chitone a maniche corte, tunica cinta e una cuffia, posa la mano destra sulla spalla destra di Plangon e la sinistra sul suo braccio sinistro.
41La serie di monumenti funerari che abbiamo analizzato pone dunque un problema molto specifico. Occorre tentare di individuare le condizioni che possono aver favorito l’ingresso di questo tema e di questo schema iconografico nella scultura funeraria di IV secolo. Per farlo, può essere utile far riferimento al clima culturale nell’Atene del tempo e di particolare aiuto può essere l’ambito della mousikè.
42Aristofane e Platone, come si sa, propugnano tenacemente una sorta di restaurazione dell’educazione dei giovani secondo i valori del passato. Lo stesso vale, anche se con accenti meno conservatori, per Aristotele. In questi contesti troviamo spesso la denuncia esplicita dei difetti della mousikè del proprio tempo. In virtù della convinzione che la mousikè fosse la techne mimetica per eccellenza, in grado di offrire rappresentazioni fedeli degli ethe e dunque di influenzare significativamente i caratteri degli uomini, essa era uno degli elementi più importanti dell’educazione del giovane cittadino ai valori che lo Stato intendeva promuovere. Ciò spiega la presenza di intere sezioni sulla mousikè all’interno di trattati politici come la Repubblica e le Leggi di Platone o la Politica di Aristotele.
43Aristofane e Platone conducono dunque attacchi violenti nei confronti dei costumi musicali in voga fra la fine del V e la metà del IV secolo. La preoccupazione principale delle loro affermazioni in merito ruota intorno al problema di che cosa la mousikè e, con essa, tutte le arti mimetiche dovrebbero rappresentare e di come dovrebbero rappresentarlo. Una lunga tradizione di studi moderni ha utilizzato queste testimonianze per capire quali fossero i gusti, in termini musicali o pittorici, di Platone o di Aristofane o di Aristotele. Più fruttuoso mi pare capovolgere il quadro e il modo di porre la domanda cercando di leggere gli attacchi alla mousikè e alle arti figurative al fine di capire cosa stava succedendo ad Atene, in merito a queste arti mimetiche, nel IV secolo, e dunque contro che cosa siano diretti attacchi e critiche. Da tale ricerca emerge che ciò che accadeva, specialmente in campo musicale, intorno a Platone, Aristofane e, in parte, ad Aristotele, doveva destare loro una viva preoccupazione.
44In molti punti delle Leggi, e già nella Repubblica [32], Platone lamenta pericolose tendenze della musica contemporanea : la separazione e l’arbitraria ricomposizione degli elementi costitutivi della mousikè (parole, ritmo, melodie e figure di danza) era la direzione verso la quale i poeti volgevano le proprie sperimentazioni. Disgiungevano ritmi e schemi di danza dalla melodia, ponendo in metro semplici parole (cioè senza accompagnamento strumentale) oppure isolavano la melodia e i ritmi dalle parole, usando gli a solo. Tutto ciò portava, secondo Platone, ad una ricerca di velocità, alla mancanza di pause, ad una ricerca virtuosistica. Allo stesso tempo, poeti e musici rifiutavano il tradizionale vincolo ai temi tradizionali. Il virtuosismo comportava infatti anche tentativi di imitare oggetti ed eventi fino ad allora mai imitati, mai tematizzati nella mousikè, ma neanche nella pittura o in scultura. La prima conseguenza fu che tali imitazioni avevano luogo senza un chiaro scopo etico – almeno secondo Platone – ma con la funzione di fornire all’imitatore un terreno, un pretesto, attraverso il quale mostrare la propria arte. L’imitazione di tuoni, tempeste, versi di animali, l’imitazione del suono del flauto con la kithara riflettevano, secondo Platone, la ricerca del piacere e dell’applauso da parte dell’uditorio e la rinuncia a educarlo. Il rischio peggiore di questo gusto che andava imponendosi ad Atene, era che tendenze del genere facevano della mimesi un valore assoluto e dell’eccellenza tecnica la vera misura della bravura artistica, valutata nei termini dell’esatta e illusionistica imitazione della realtà anzi, peggio ancora, di ogni realtà. Veniva a mancare un filtro, un controllo – cosî fortemente auspicato da Platone ed identificato nel legislatore – che stabilisse quali temi fossero degni o meno di essere imitati e posti sotto gli occhi dei cittadini in quanto utili alla loro educazione e quali modi fossero da usare per tali imitazioni. Imboccata questa strada, molti altri capisaldi della mousikè e della società ateniese andavano crollando, secondo Platone e Aristofane, uno dietro l’altro. Dalla metà del V secolo, in effetti, comincia, al livello di pratica musicale, soprattutto nel ditirambo e nel nomos citarodico, un gusto, sia nel pubblico che nei musicisti, che rifiuta il vincolo della techne alle regole tradizionali. Una tendenza virtuosistica che porterà la mousikè a divenire non praticabile da tutti i cittadini, come era stato fino ad allora, ma una techne per professionisti. E sappiamo quanto la partecipazione ai cori drammatici fosse percepita come parte importante della paideia.
45La centralità della mimesi e l’accento sulla bravura tecnica dell’artista sono due elementi che riguardano anche i pittori – come mostrano in modo vario le fonti [33] – e che segnano, rispetto al mondo cui guardano Platone e Aristofane, una vera e propria rivoluzione.
46Per i poeti esponenti della nuova musica (Melanippide, Cinesia, Frinide o Timoteo), ma anche per pittori come Zeusi e Nicia o per scultori come Prassitele e Scopas, è ormai la mimesi la vera misura dell’arte, che permette una più libera, realistica e variata espressione della realtà e dei pathe. Ciò porta con sé che poeti, pittori, scultori danzatori e auleti, insomma i mimetai, mostrano in questo momento una tendenza a rivendicare una forte autonomia, anche nella scelta del tema. È, credo, in connessione con questo clima culturale che va spiegato l’ingresso, sia nella mousikè che in pittura e scultura, di temi e iconografie assolutamente nuove. Vediamo affiorare un interesse alla rappresentazione di pathe estremi ma anche di condizioni estreme come la deformità fisica; e ancora, un interesse per temi « bassi » che fino ad allora non avevano mai goduto della dignità etica che valesse loro l’ingresso fra i soggetti della pittura. Il tutto raccolto sotto un valore supremo : la rappresentazione illusionistica e realistica.
47Fra i molti soggetti nuovi che ben si prestavano a queste nuove esigenze e che fornivano la possibilità di rappresentazioni altamente patetiche e virtuosistiche, vi fu, credo, quello del parto.
48Ateneo racconta che il poeta Timoteo nella sua opera I dolori di parto di Semele aveva rappresentato realisticamente, in musica, le urla e i lamenti della madre di Dioniso [34], la cui intensità e spregiudicatezza doveva aver suscitato sconcerto negli spettatori. Nella tradizione successiva le opere di Timoteo, compresa I dolori di parti di Semele, continuarono ad essere ricordate per il loro carattere estremo e scomposto, in contesti spesso negativi. Il tema del parto dovette godere di una certa fortuna se Platone stesso, nella Repubblica, enumerando una serie di temi che vanno banditi dalle rappresentazioni ammesse nella città, menziona proprio « una donna disgraziata, afflitta e piangente, e tanto meno malata o innamorata o partoriente » [35].
49Ma le testimonianze non finiscono qui. Plinio racconta che Ctesiloco, allievo di Apelle, si rese famoso con un dipinto irriverente. Aveva infatti rappresentato Giove che dava alla luce Dioniso. Il tema faceva parte del repertorio tradizionale e non era, di per sé, un’innovazione. Ma Ctesiloco aveva messo in testa a Giove una mitra e lo aveva rappresentato gemente come una donna, fra gli dei che gli recavano aiuto : aveva insomma trasformato il tema mitico della nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus in una vera e propria scena di parto, conferendole tratti legati alla sfera femminile [36].
50Alcuni vasi ci permettono di osservare i mutamenti che subî la rappresentazione del tema della ri-nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus. Questa breve sequenza ci consente di osservare come tali mutamenti procedano nella direzione del progressivo spostamento del centro d’attenzione proprio sull’evento del parto e della trasformazione del fatto mitico della rinascita di Dioniso in una assai umana scena di parto.
51Una lekythos attica a figure rosse (fig. 18), databile agli anni 460-450 a. C. [37] ci presenta la nascita di Dionioso : Zeus siede in posa solenne e immobile, Dioniso è appena visibile mentre emerge dalla coscia sinistra di Zeus ed Hermes, di fronte a Zeus, gli regge tranquillamente lo scettro. Gli esempi più tardi [38], fra cui riproduciamo un cratere della fine del V - inizi IV secolo (fig. 19), presentano invece Zeus in alcuni casi seduto, ma in modo più rilassato, o addirittura quasi sdraiato. Ma non solo : la scena avviene, come sul cratere di Taranto, alla presenza di Eileithyia – dea profondamente legata al mondo femminile in modo quasi esclusivo in quanto protettrice dei parti. Nell’esempio del cratere di Taranto, la posa semisdraiata di Zeus e la presenza di Eileithyia sottolineano l’inequivocabile assimilazione di Zeus ad una partoriente. Eileithyia, protettrice dei parti, accorre da davanti ad accogliere il neonato, in funzione di levatrice.
52Lo stesso ruolo di levatrice svolge Hermes in un rilievo neoattico [39] (fig. 20) che si ritiene dipendere da un modello della seconda metà del IV secolo. In un rilievo votivo (fig. 21) [40] datato agli inizi del IV secolo, che rappresenta dunque un parto umano e non mitologico e che fu probabilmente dedicato per ringraziare la divinità del felice esito del parto, vediamo le figure occupare le stesse posizioni e svolgere le stesse funzioni : da dietro una serva sorregge la partoriente, mentre davanti a lei, in funzione di levatrice, occupando la stessa posizione che nelle scene della rinascita di Dioniso occupano Hermes o Eileithyia, una donna tiene in braccio il neonato. Sia la scena della rinascita di Dioniso che quella del parto sul rilievo votivo prevedono – a differenza della serie che abbiamo analizzato – la presenza del bambino appena nato : si tratta infatti di parti felici.
53Sembra dunque di capire che nel IV secolo il tema del parto abbia goduto di una certa fortuna, sia in campo teatrale/musicale che figurativo. Uno dei soggetti che poteva al meglio prestarsi a rappresentazioni teatrali del tema erano di certo temi mitologici. E la nascita di Dioniso appare offrire quegli ingredienti cari al clima culturale e musicale che abbiamo sommariamente tracciato : un soggetto che prevede la tragica e dolorosa morte della gestante, Semele, e la rinascita del bambino dalla coscia Zeus. Le testimonianze letterarie che abbiamo menzionato e alcune testimonianze figurate che probabilmente ne ripetono il tipo ci inducono a ritenere che in pittura anche il tema della morte di Semele avesse trovato spazio.
54Lo stesso schema iconografico che abbiamo osservato nel gruppo di stele e lekythoi funerarie ricorre infatti anche in altri due monumenti [41] che rappresentano la morte di Semele.
55Il cratere apulo (fig. 22) utilizza, per la rappresentazione del tema della morte della gestante Semele colpita dal fulmine di Zeus, lo stesso schema iconografico che abbiamo osservato, ad esempio, nella lekythos per Killaron (fig. 10), nella stele di Stephane (fig. 16) e in quelle che preservano il nucleo iconografico e narrativo principale. Esso, lo ricordiamo, è costituito dalla figura centrale della morente, da quella della levatrice che accorre da davanti e infine da quella della serva che sorregge la morente da dietro. Nel cratere apulo Semele, i capelli sciolti sulle spalle, è abbandonata su una sedia ricoperta da un drappo. Il languore della morente è evidenziato dalla posizione della testa reclinata, delle braccia, abbandonate e sorrette dalle due figure laterali e dalla posizione della gamba destra che scatta incontrollata verso l’alto.
56Lo skyphos argenteo proveniente da Pompei (fig. 23) rappresenta lo stesso tema, ma in modo assai più patetico. Si ritiene generalmente che la composizione riprenda modelli di IV secolo. Semele è adagiata su una kline, il mantello le scivola e ricade sulla gamba sinistra, le gambe leggermente divaricate, in una posa che rinuncia a qualsiasi pretesa di ordine e dignità. Il braccio sinistro reca ormai l’abbandono della morte imminente, il destro è portato alla testa, reclinata all’indietro con un incontrollato scatto di intenso dolore. Da dietro, leggermente chinata, una donna la sorregge. In una forsennata fuga in avanti un’altra donna le corre in aiuto, gettando le braccia indietro : un gesto di alta intensità drammatica, la cui tradizione, alla testa della quale stanno Nicola Pisano e Giotto, giunge ben oltre il mondo antico e fu impiegata in scene di forte intensità patetica come la Strage degli Innocenti o il Compianto su Cristo morto [42]. Completa la scena una figura all’estrema sinistra. Essa occupa la posizione che nelle nostre lekythoi e stele funerarie è normalmente assegnata alla figura che esegue un gesto di compianto funerario : nella scena della morte di Semele questa figura è Thanatos stesso. L’alto livello stilistico e compositivo dello skyphos di Pompei ci induce a ritenerlo dipendente da modelli elevati.
57La scena della morte di Semele sullo skyphos (fig. 23) presenta strette affinità compositive con il gruppo di stele e lekythoi che abbiamo analizzato. Il gesto patetico di Semele è ancor più precisamente confrontabile, per quanto riguarda il braccio portato dietro la testa, con lo stesso gesto eseguito dalla morente nella lekythos per Pheidestrate (fig. 9). Nella lekythos, certo, la torsione della donna e il gesto stesso del braccio sono realizzati in modo più rozzo, meno organico e l’intensità patetica non è che un pallido ricordo di quella nello skyphos di Pompei. Un parallelo, per quanto riguarda la posizione scomposta della morente, offre la stele di Plangon (fig. 17), per quanto l’esecuzione, anche in questo caso, sia evidentemente e ovviamente di minore qualità ed eleganza patetica.
58Visto il contesto dei mutamenti in atto nel IV secolo e vista la presenza di testimoniaze letterarie e figurative, è lecito, credo, formulare l’ipotesi che il tema del parto – di un parto mitico, probabilmente quello mancato di Semele, visto il suo successo teatrale, e quello felice di Zeus – possa essere stato il soggetto di una o più opere pittoriche famose, da situare probabilmente nel IV secolo. L’iconografia del soggetto tragico – quello del mancato parto di Semele – prevedeva, verosimilmente, un nucleo principale a quattro figure (includendo il compiangente).
59La predilezione per un tema che offre, come le battaglie di questo periodo, la possibilità di mostrare molti schemata di pathos e di esplorarne le diverse declinazioni e gradi e variazioni, non stupisce nel clima del IV secolo. A riprova di quanto il centro di interesse si fosse spostato, per gli artisti, su elementi di pathos e di variatio compositiva basta ricordare le parole con le quali il pittore Nicia, secondo lo pseudo – Demetrio, afferma l’opportunità di scegliere soggetti grandiosi per la pittura. Solo questi, infatti, come ad esempio le scene di battaglia, offrono « la possibilità al pittore di mostrare molti schemata di cavalli, di cavalli che corrono e che si arrestano, di altri che si piegano a terra sulle ginocchia e molti cavalieri che scagliano lance e molti che cadono da cavallo » [43].
60Più straordinario è il fatto che questa nuova iconografia e la scelta di rappresentare un momento cosî drammatico abbiano penetrato l’ambito della produzione funeraria. Forse il basso livello stilistico di questo gruppo di lekythoi e stele può essere un indizio importante. Può permetterci di ipotizzare, come committenti di tali monumenti, persone appartenenti ad un livello sociale marginale. Oppure, come ci insegna l’esempio di Teophante e Olimpiodoro, che dovevano appartenere ad una famiglia di un certo rilievo, la marginalità riguarda il ruolo affidato alla lekythos con la scena di morte di parto nel contesto del più ampio e articolato spazio funerario della famiglia : ad essa veniva affidato il compito di comunicare un evento di fatto « marginale » – circostanziale e non essenziale – mentre alla stele funeraria con la scena di dexiosis, di dimensioni e livello stilistico più alto, quello di dare l’immagine ufficiale dell’ethos della famiglia. Può proprio la marginalità essere il fattore chiave che determinò un più alto grado di penetrabilità a nuovi temi e soprattutto a un nuovo linguaggio gestuale, più patetico e immediato ? La rigida e artificiale stilizzazione comportamentale e gestuale del V secolo si fece via via più leggera : può tale alleggerimento essersi tradotto in una nuova libertà di modi espressivi a partire proprio dalle classi o, più verosimilmente, dai monumenti più marginali ? Come è evidente da molte testimonianze appartenenti ad altri generi artistici, nel IV secolo l’alleggerirsi del peso della committenza pubblica permette una maggiore libertà di sperimentazione. In questo caso, l’alleggerirsi delle pesanti regole di stilizzazione comportamentale potrebbe essere stato uno dei fattori che permise un’apertura, seppur breve, a questo nuovo tema e a questa nuova iconografia. Ma il genere funerario ha un grado di flessibilità limitato : e nel caso delle estreme sperimentazioni tentate da questi monumenti, esso finî con l’imporre, con successo, il ritorno alle rigide regole di sempre.
Mots-clés éditeurs : Monde grec, Mobilier, Iconographie funéraire, Iconographie, Sculpture, Ve et IVe s. av. J.-C., Vase, Histoire des mentalités
Date de mise en ligne : 01/08/2007
https://doi.org/10.3917/arch.051.0027Notes
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[1]
Si veda, fra i numerosi studi sul tema, N. Himmelmann, Studien zum Ilissos – Relief, Monaco, 1957; H. A. Shapiro, The Iconography of Mourning in Athenian Art, AJA, 95, 1991, p. 629-656; E. G. Pemberton, The Dexiosis on Attic Gravestones, Mediterranean archaeology, 2, 1989, p. 145-150; C. W. Clairmont, Classical Attic Tombstones, Kilchberg, 9 vol., 1993-1995, in part. Introductory Volume, con ampia bibliografia. Da ultimo si veda, in particolare per la forte attenzione al contesto e alla funzione delle stele funerarie, J. Bergemann, Demos und Thanathos, Monaco, 1997 ; N. Himmelmann, Attische Grabreliefs, Opladen, 1999.
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[2]
M. L. Catoni, Schema e valori, vita e immagini, in M. S. Celentano, P. Chiron, M. P. Noël, SKHEMA/FIGURA, Formes et figures chez les anciens, Paris, 2004, p. 89-112; Ead., Schemata. La comunicazione non verbale nella Grecia antica, in corso di stampa.
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[3]
Aristotele, Politica, 1340, a 18-40.
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[4]
La traduzione di homoíoma col termine italiano « rappresentazione » è approssimativa. Il termine greco infatti contiene un tratto che pertiene al grado di vicinanza al vero della rappresentazione e la designa come caratterizzata da un grado altissimo di vicininanza e somiglianza (quasi uguaglianza) con l’originale.
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[5]
La possibilità di pittura e scultura di dar figura a valori astratti trova una delle sue più belle discussioni nel racconto di Senofonte (Senofonte, Memorabilia, III. 10. 5 sq.), nel quale Socrate, a colloquio col pittore Parrasio, lo scultore Kleiton e il fabbricante di corrazze Pistias, convince Parrasio e Kleiton, all’inizio scettici, che pittura e scultura sono in grado di rappresentare pathe ed ethe. A. Delatte, Le troisième livre des souvenirs socratiques de Xénophon, Paris, 1933; O. Gigon, Kommentar zur Xenophons Memorabilien, Basel, I, 1953 e II, 1956; R. Nickel, Xenophon, Darmstadt, 1979, p. 92-100. Specificamente dedicati a questo passo F. Preisshofen, Socrate in conversazione con Parrasio e Clitone, in E. La Rocca, L’esperimento della perfezione, Milano, 1988, p. 180-195. Lo studioso fornisce un utilissimo commento ai due colloqui con Parrasio e Kleiton e al suo saggio rimando per la bibliografia principale; si veda anche A. Brancacci, Ethos e pathos nella teoria delle arti, Una poetica socratica della pittura e della scultura, in Elenchos, XVI, 1995, p. 103-127. Si può vedere anche la breve menzione del passo in H. Wilms, Techne und Paideia bei Xenophon und Isokrates, Stuttgart, 1995, p. 28-29.
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[6]
Platone, Repubblica, 401 a - 402 c.
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[7]
Su questi temi si può vedere M. L. Catoni, Quale arte per il tempo di Platone ?, in S. Settis (a cura di), I Greci, Storia, cultura, arte, società, II,1, Torino, 1997, p. 1013-1060.
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[8]
Menziono, fra tutti, lo studio di P. Zanker, La maschera di Socrate, Torino, 1995.
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[9]
L’intero gruppo è stato eccellentemente analizzato da U. Vedder, Frauentod, Kriegertod im Spiegel der attischen Grabkunst des 4 Jhs. V. Chr., AM, 103, 1988, p. 161-191, che rappresenta lo studio di riferimento per questo lavoro. Per i dati e la consistenza numerica si veda Clairmont, op. cit., General Index, s.v. « Childbed Scenes ». Si veda anche A. Stewart, C. Gray, Confronting the Other : Childbirth, Aging, and Death on an Attic Tombstone at Harvard, in B. Cohen (a cura di), Not the Classical Ideal : Athens and the Construction of the Other in Greek Art, Leiden-Boston-Köln, 2000, p. 248-274. Sull’equivalenza fra la morte in battaglia per l’uomo e la morte di parto per la donna, sostenuta da Vedder, op. cit., e N. Loraux, The Experiences of Tyresias, The Feminine and the Greek Man, Princeton, 1995, p. 23-32, si vedano le giuste osservazioni di Stewart, Gray, op. cit., p. 263 sq. Per il passo di Plutarco (una delle due testimonianze principali su cui si fonda tale erronea ipotesi) cioè Vita di Licurgo, 27,2,3, con l’emendamento di K. Latte, all’origine della teoria, si veda P. Brulé, L. Piolot, La mémoire des pierres à Sparte, Mourir au féminin : couches tragiques ou femmes hiérai (Plutarque, Vie de Lycurgue, 27,3), REG, 115, 2000, p. 485-517. Per le terrecotte votive cipriote che a partire dal VI secolo a. C. rappresentano il tema, P. Hundsdörfer, Die Gebärdehaltung in der Antike, in H. G. Hillemanns, H. Steiner, D. Richter, Die humane, familienorientierte und sichere Geburt, Stuttgart, 1982, p. 349-357.
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[10]
Esiste dunque la possibilità che queste stele non rappresentino donne morte ma siano uno dei tipi di rappresentazione della donna morta secondo una tipologia ideale, di cui fa parte la maternità. In questo caso, il gruppo di stele di cui qui si tratta diverrebbe ancora più rilevante : esse segnerebbero contemporaneamente il momento della tematizzazione di un evento non tematizzato fino a quel momento ed una eccezione nelle tipologia di rappresentazione.
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[11]
Stele funeraria, Atene, Mus. naz. 792, ca. 420-400 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 691. Di questo rilievo ha fatto problema la presenza dell’anfora loutrophoros rappresentata sulla destra in secondo piano (altri oggetti : kalathos sotto la sedia, scatola contro il muro). Si suppone che la donna sia morta dando alla luce un bambino e ciò rende la presenza della louthrophoros molto problematica essendo per lo più, ma non esclusivamente, associata a donne non maritate. Le altre stele riprodotte sono : Stele funeraria, Lyme Park, Stockport, Cheshire. National Trust, ca. 375-350 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 819. Stele funeraria, New York, Shelby White and Leon Lévy Collection, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 780a. Stele funeraria, Londra, BM 2894 . 6-16 . 1, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 786. Stele funeraria, Baltimore, Walters Art Gallery 23 . 176, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 714. Lekythos funeraria, Columbia, University of Missouri, Museum of Art and Archaeology 79 . 143, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 783. Per la lista delle stele che recano il tipo si veda Clairmont, op. cit., General Index, s.v. « Infant ».
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[12]
Stele funeraria, Paris, Louvre 2872, ca. 375-350 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 810.
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[13]
Stele funeraria, Atene, Mus. naz. 3790, ca. 400-375 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 780.
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[14]
Alla base di questa scena potrebbe essere un’iconografia coniata, ad esempio, per la scena di Telefo con Oreste infante che si protende. Vd., ad esempio, cratere a calice attico, Berlino, Arch. Mus., inizi del IV secolo a. C.; LIMC, I, s.v. « Agamemnon », Nr. 13.
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[15]
Stele funeraria, Atene, Museo del Ceramico P 695, I 221, ca. 420-400 a. C.; Clairmont, op. cit., 1 . 660, cui rimando anche per la bibliografia. Un altro caso simile è la stele di Mnesagora, Clairmont, op. cit., 1 . 610. La fanciulla e il bimbo rappresentati, Nikokles, sono in realtà non madre e figlio ma due fratelli cui i genitori eressero la stele.
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[16]
S. C. Humphreys, Death and Time, in S. C. Humphreys, H. King, Mortality and Immortality, The Anthropology and Archaeology of Death, Londra, 1981, p. 261-283; Ead., The Family, Women and Death, Ann Arbor, 1993, p. 103, n. 30; utilissimo, anche se non specificamente legato a questo tema, Ead., Family Tombs and Tomb Cult in Ancient Athens, JHS, 100, 1980, p. 96-126.
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[17]
Sul rapporto non tautologico ma complementare fra rappresentazione figurata e iscrizione nelle stele funerarie si veda C. Clairmont, Gravestone and Epigram, Greek Memorials from the Archaic and Classical Period, Mainz, 1970; Id., Gravestone and Epigram, AA, 1974, p. 219-238; Id., « It ain’t necessarily so »... Remarks on some gravestones with inscriptions, Horos, 5, 1987, p. 45-57.
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[18]
Lekythos per Pheidestrate, Atene, Mus. naz. 1077 (Conze, I, Nr. 308); Clairmont, op. cit., 3 . 282. Lekythos per Killaron, Paris, Louvre MA 3115 (MND 726); Clairmont, op. cit., 3 . 375; Vedder, op. cit., tav. 21 . 1.
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[19]
Sulla tradizione iconografica di questo gesto vd. S. Settis, Immagini della meditazione, dell’incertezza e del pentimento nell’arte antica, Prospettiva, 2, 1975, p. 4-18.
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[20]
Sullo specifico legame fra questo gesto e la morte, nel contesto di un’iconografia diversa da quella di cui ci stiamo occupando, e sulla sua fortuna nell’arte post-antica, si veda il bell’articolo di S. Settis, Ars moriendi : Cristo e Meleagro, Ann. Sc. NS Pisa, serie IV, Quad. 1-2, p. 145-170.
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[21]
Un’eccezione si è voluta vedere nelle stele funerarie per soldati morti in battaglia, del tipo Dexileos. Anche in questi casi, infatti, sarebbe presente un’allusione all’ambientazione della morte. Ritengo che queste stele non mostrino, in realtà, alcuna allusione alle circostanze della morte, tanto che rappresentano il soldato morto in battaglia come vincitore trionfante sul nemico. Il soggetto pare piuttosto essere il valore in battaglia; va tuttavia detto che la stele di Dexileos reca, nell’iscrizione, la menzione della battaglia di Corinto nella quale Dexileos e i suoi compagni cavalieri trovarono la morte. Nulla a che vedere, comunque, con le stele e lekythoi per donne morte di parto che le mostrano nel momento della morte, in tutta la loro disperante debolezza di morenti.
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[22]
Lekythos funeraria, Atene, Museo nazionale 1055; Clairmont, op. cit., 3 . 463a; Vedder, op. cit., p. 165, tav. 21 . 2.
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[23]
Per le iscrizioni vd. Clairmont, op. cit., 3 . 463a e 3 . 462.
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[24]
Stele funeraria attica, Cambridge (Mass.), Harvard University, Arthur M. Sackler Museum 1905 . 8, Vedder, op. cit., p. 169-171, tav. 30; Clairmont, op. cit., 4 . 425; Stewart e Gray, op. cit., p. 248-274.
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[25]
Come notato da Stewart, Gray, op. cit., p. 259.
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[26]
Per un’analisi puntuale delle rilavorazioni e del loro significato vd. Stewart, Gray, ibid., p. 253 sq.
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[27]
Lekythos funeraria, Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptotek 2564, ca. 320 a. C.; Clairmont, op. cit., 2 . 917; Vedder, op. cit., p. 169, tav. 22 .1.
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[28]
Vedder, op. cit., e Stewart, Gray, op. cit. Alla fine del IV secolo - inizi del III appartiene il rilievo di Thasos, Mus. arch. 1172, molto frammentario, nel quale le figure sono più grandi del naturale. Si è pensato si trattasse di una scena che rappresenta Fedra ma il contesto di ritrovamento e iconografico farebbero protendere per considerarlo appartenente alla nostra serie. Su questo si veda Vedder, loc. cit., p. 171-172, tav. 24.
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[29]
Stele proveniente da Rodi, Rodi, Museo archeologico, III a. C., Vedder, op. cit., p. 173, tav. 25 .1, n. 54. Stele da Alessandria, Alessandria, Museo archeologico, III a. C., Vedder, ibid., p. 173 e n. 53, tav. 23 .2. Il modello compositivo è lo stesso che abbiamo osservato, ad esempio, nella lekythos per Killaron. È interessante che a comunicare lo stato di gravidanza della figura centrale contribuisce, in modo diverso dalle testimonianze viste finora, il modo in cui il mantello quasi incornicia il ventre. Nelle testimonianze di età ellenistica, questo è un tratto piuttosto comune come anche la rappresentazione non del lato corto della kline, ma del suo lato lungo. Gli altri esempi di età ellenistica conosciuti – altre due stele ad Alessandria, una a Mesembria e una, dipinta, a New York –, si possono trovare menzionati, con bibliografia, in Vedder, op. cit., p. 173, n. 53-56.
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[30]
Per un’analisi di simili tendenze nell’arte figurativa e nella cultura del IV secolo vd. Catoni, Quale arte, op. cit., in n. 7.
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[31]
Stele funeraria, Atene, Museo del Ceramico P 290 I 174, ca. 350-300 a. C.; Clairmont, op. cit., 3 . 442; Vedder, op. cit., p. 268 sq., tav. 22 .2. Stele funeraria, Atene, Museo nazionale 749, ca. 350-300 a. C.; Clairmont, op. cit., 4 . 470; Vedder, op. cit., 162 sq., tav. 23 .1.
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[32]
Leggi, II,669 d 1-a 2; III,700, d 3-701 b 4; Repubblica, 397 a 1-b 2. Si veda W. D. Anderson, Ethos and Education in Greek Music, Cambridge, 1966, p. 74 sq.
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[33]
Su questo si puo vedere Catoni, Quale arte, op. cit., in n. 7.
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[34]
Ateneo, Deipnosofisti, 352 a 8-b 1.
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[35]
Platone, Repubblica, 395 e.
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[36]
Plinio, N.H., XXV,138 : « petulanti pictura innotuit, Iove Liberum parturiente depicto mitrato et muliebriter ingemescente inter opstetricia dearum ».
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[37]
Boston, Museum of Fine Arts, 95 .39; LIMC, II, 2, Nr. 666, s.v. « Dionysos ».
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[38]
Anfora a figure rosse, già a Napoli; LIMC, III, 2, Nr. 70, s.v. « Eileithyia ». Cratere a volute apulo, fine V - inizi IV secolo a. C., Taranto, Mus. naz. I.G. 8264; LIMC, III, 2, Nr. 667, s.v. « Dionysos ».
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[39]
Rilievo neoattico, Vaticano, Sala delle Muse 493 (inv. 328), età adrianea; LIMC, III, s.v. « Dionysos », Nr. 668. Il modello da cui dipende il rilievo viene situato dagli studiosi nella seconda metà del IV secolo; si ritiene inoltre che il rilievo fosse parte di un più articolato monumento coregico.
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[40]
Rilievo votivo, New York, Met. Museum, inizi IV secolo a. C.; Vedder, op. cit., p. 178, n. 77, tav. 25 .2; Hundsdörfer, op. cit., p. 350, n. 11 e p. 351, fig. 3.
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[41]
Cratere a volute apulo, Tampa Bay, Mus. of Art 87 .36, ca. 330 a. C.; LIMC, VII, s.v. « Semele », Nr. 7. Skyphos argenteo, Napoli, Museo nazionale 145508, dalla casa del « Menandro », prima metà del I secolo d. C.; LIMC, III, 2, s.v. « Eileithyia ».
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[42]
Settis, Ars moriendi, loc. cit., p. 149 sq. e n. 45 e p. 150 n. 48. Nello stesso lavoro (p. 150, n. 55) è possibile seguire la storia della scoperta di questa tradizione iconografica, in particolare riguardo al ruolo avuto da A. Warburg e dal suo amico A. Jolles.
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[43]
Ps.-Demetrio, Sullo stile, 76 .4 sq.